Sui rapporti tra M5S e Pd

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E’ tempo di piani e di gossip, progetti e disegni fantasiosi. Ma per immaginare cosa accadrà effettivamente dopo il 26 maggio (magari niente) e perlustrare i rapporti futuri tra Pd e M5S, è il caso di fare prima di tutto un passo indietro, tornare al 5 marzo 2018 e raccontare una storia che nessuno ha mai raccontato fino in fondo.

Il giorno dopo le elezioni, Matteo Renzi annunciò le sue dimissioni da segretario del Pd, facendo intendere in prima battuta che le avrebbe rese esecutive dopo la definizione dei nuovi assetti istituzionali. In sostanza rendendosi disponibile – sia pure annunciando la collocazione all’opposizione del Pd – a guidare le trattative in vista della formazione del governo. Nel giro di qualche minuto, i maggiorenti del Pd (Zanda, Orlando, Emiliano, Cuperlo, Finocchiaro, Latorre) scatenarono un fuoco di fila di dichiarazioni contro queste dimissioni congelate, “postdatate” si disse. Al punto che, trascorse poche ore, Renzi dovette abbandonare l’idea di gestire la fase postvoto e lasciare a Martina la reggenza del partito, contemporaneamente accusando Franceschini e i suoi nemici di volere portare il Pd all’abbraccio con i Cinquestelle, e scatenando la famosa campagna del #senzadime. Per motivi puramente interni, con la violenza e l’autolesionismo tipici dei suoi dibattiti, il Pd lasciò così la scena pubblica della politica ai cosiddetti “vincitori” delle elezioni, che comprensibilmente – in assenza di diversi interlocutori – cominciarono a maturare l’idea del contratto di governo.

Nelle settimane post-voto, però, lo stesso Renzi mantenne sottotraccia un sostanzioso filo di dialogo con il M5S – attraverso Minniti, in particolare – arrivando al punto di discutere i potenziali ruoli nella compagine di governo: che cosa avrebbe potuto fare (gli Esteri?) lo stesso Renzi, a quali condizioni avrebbe accettato Di Maio premier, e così via. L’ipotesi naufragò il 29 aprile, con le uscite dei due sul “Corriere della Sera” e a “Che tempo che fa”. Da una parte, Renzi aveva alzato troppo il tiro della polemica pubblica anti Cinquestelle. In caso di intesa, sarebbe stato messo sotto dalla sua costituency, frustrata e assetata di improbabili vendette; per questo non trovò il coraggio necessario per portare a compimento un’operazione politica azzardata ma intelligente. Dall’altra, Di Maio temeva Renzi, unico protagonista politico in grado di tenere testa a lui e al suo arrembante movimento. E fu contento di evitare l’abbraccio, potendo peraltro addossarne ogni responsabilità all’afasia politica del Pd.

È lì che nasce il governo gialloverde, è da quel momento che si sancisce la sostanziale inutilità del Pd. Un passaggio sbagliato di cui ancora oggi si vantano parecchi miei amici riformisti, che vedevano e continuano a vedere nel M5S il Grande Nemico da combattere. Mentre, ad un anno e passa di distanza, si misurano almeno tre effetti concreti e indiscutibili di quel mancato dialogo. Primo: la resistibile ascesa di Salvini è stata favorita da un’alleanza innaturale e non strutturale. Secondo: il Pd si è accucciato in una stanca posizione di attesa, senza mai riuscire a mettere piede nel campo della politica né produrre una sola idea degna di nota. Terzo: tra mille rozzezze e contraddizioni, il M5S sta conquistando una posizione politica centrale (siamo i moderati, ha detto stamattina Di Maio).

Conclusione. Se dialogo tra M5S e Pd sarà, bisognerà scalare montagne per contrastare umori e sentimenti conservatori, al momento ampiamente maggioritari nell’opinione pubblica. E – nel dialogo – ho l’impressione che saranno i Cinquestelle a mostrarsi come la forza più innovativa e dinamica, in termini di visione culturale, opzioni programmatiche e personale politico. Il #senzadime di un anno fa troverà il suo esito in una misera subalternità politica.

Questo articolo ha 2 commenti

  1. Anonimo

    tristissimo, ma è vero che Renzi ci provò? non lo ha mai ammesso, ma sarebbe stata una cosa intelligente, anche per far fuori le vecchie cariatidi del partito

  2. Luigi Vigliani

    Francamente trovo molto strano che Renzi si dovesse sobbarcare, un anno fa, l’onere di arrivare ad un’accordo con i 5S, rimettendo, in tal mod,o in gioco entrambi i partiti, dopo il trattamento che lo stesso PD ed i 5S gli avevano riservanto fino ad un minuto prima e, direi, per molto tempo ancora dopo: un’autentica spregiudicata e ingenerosa character assassination.
    Trovo molto strano, quindi, che si addebiti, proprio a lui, una mancanza di intelligenza politica e di di coraggio. Ha fatto quindi benissimo, a mio avviso, a posizionarsi dietro il #senzadime. Sarà compito della nuova segreteria del PD (direi della Ditta) e di un – riconosco – molto politicamante matuarto Di Maio – prendere decisioni, anche molti impopolari per i loro elettori, seppur, forse, politicamante opportune.
    Non si può pretendere da Renzi tutto ed il contrario di tutto, scaricando sulle sue spalle la ricerca di soluzioni che celassero la pochezza di due classi dirigenti che avevano 8loro sì) solo da guadagnarci: i 5S politicamante (e va dato loro atto di una certa lungimiranza, nel puntare a questo) e la Ditta (solo in termini di mantenimento di quote di potere, ma senza nessun vero disegno politico a supporto).
    Intanto, in attesa che i tempi maturino (e che Zingaretti ci faccia sapere cosa vorrà fare da grande), è opportuno che l’elettorato abbia ciò che vuole una maggioranza 5S e Lega, che, sondaggi alla mano, appoggia senze riserve.
    Staremo a vedere.

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