La sfida del 30 aprile

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Sono tutti già pronti ad inchiodare Matteo Renzi ai risultati delle prossime primarie. Se prenderà una percentuale di voti più bassa che nelle convenzioni di partito, il commentatore collettivo dirà che non è più il leader espansivo di un tempo, che ormai vince solo dentro la ridotta di un nuovo partito-apparato conformista e clientelare. Se il 30 aprile andranno a votare meno persone che nelle varie primarie precedenti, il medesimo soggetto ne trarrà evidenti auspici sulla fine prematura ma annunciata di un leader che fu una speranza per il paese più che per il suo partito.

Ci sono tre modi per affrontare le scontate geremiadi del giorno dopo. Il primo è fottersene solennemente (che va sempre bene, considerati i profili dei critici, che hanno la sola ambizione di farsi notare per entrare nelle grazie dei nuovi potenti a cinquestelle). Il secondo è mettere su un’onesta campagna elettorale fatta di comizi e qualche confronto con i due grigi sfidanti, parlando di forma-partito e questioni interne: temi il cui interesse generale è pari a qualche zero virgola, insomma alla percentuale di coloro che hanno votato nelle convenzioni di partito.

Ma Renzi ha anche una terza risposta possibile: tornare a stupire. E proporsi esplicitamente, in vista del 30 aprile, la mobilitazione di una parte cospicua di quell’esercito di 13 milioni di italiani che il 4 dicembre scorso sperava di incamminarsi sulla strada delle riforme e della modernizzazione del paese. Solo così l’ascesa al calvario della leadership del Pd attraverso le primarie, disegnata da uno statuto bizantino e autolesionista, potrà evitare di trasformarsi nel più bizzarro degli autogol.

Che cosa si tratta di fare, dunque? In fondo è semplice. Renzi dovrebbe partire dai tre buoni spunti del suo discorso di ieri (1. democrazia vs dinastia, 2. scienza vs paura, 2. lavoro vs assistenzialismo) e declinarli vigorosamente nel corso della campagna, ma andando al di là del tradizionale apparato di pensiero del Pd. Spostando il dibattito in avanti, come si diceva una volta.

Tanto per capirci – sul punto 1. – smettendola di propagandare il simpatico caos della vita interna del Pd in contrapposizione ai metodi dinastici in vigore nel M5S, ma tornando a porre l’esigenza di una radicale riforma delle istituzioni (e dei partiti), per fare riemergere dall’orgia postreferendaria della rappresentanza la sobria necessità della governabilità, per ristabilire l’elementare principio dell’equilibrio dei poteri contrastando lo strapotere dei magistrati, e così via.

Oppure – sul punto 2., a proposito di scienza e paura – non più solo ravanando sul comodo e scontato tema dei vaccini in polemica con il medievalismo dei cinquestelle, ma cominciando ad affrontare, senza cedimenti demagogici ai bias ambientalisti, le tematiche dell’approvvigionamento energetico, aprendo confronti duri con i territori che non vogliono infrastrutture, combattendo la deriva culturale romantica e furbesca del bio, del chilometro zero, del No agli Ogm, etc…

E infine – sul punto 3. – ricordando e ricordandosi che battersi per il lavoro contro l’assistenzialismo non significa solo contrastare le amenità demasiane foraggiate dallo stato, cioè da noi, ma vuol dire riaprire cruciali fronti di lotta, ormai smarriti e dimenticati, che si chiamano scioglimento delle partecipate, legge sulla concorrenza, riforma del catasto, contrasto esplicito alle corporazioni. In una parola, apertura dei mercati.

Se la campagna di Matteo Renzi avrà questo taglio e questi contenuti, ci dimenticheremo entro qualche ora della canottiera di Emiliano e delle nostalgie di Orlando, e potremo sperare di rivedere nei gazebo una certa quantità di quell’Italia che il 4 dicembre voleva cambiare le cose e non ha ancora perso le speranze.

 

Questo articolo ha un commento

  1. Analisi ineccepibile come sempre. E’ chiaro che la “strategia numero tre” è l’unica che abbia una reale spinta propulsiva. E’ qui che richiamiamo coraggio, passione, lucidità e capacità di declinare le espressioni con il futuro indicativo!
    Occorre capacità di mobilitazione massiccia. La stessa che abbiamo messo in campo per il referendum…ma attenzione: per farlo occorre avere appeal!
    Occorre parlare ai più giovani e occorre coinvolgere tutti quelle forze (organizzate o spontanee) che si sono messe in moto in vista di un chiaro progetto riformatore. C’è poco tempo! Mobilitiamo i comitati e i singoli di quell’area moderata ma tenacemente riformista che ci ha portato tredici milioni di voti! Non sarà facile ma occorre farlo subito!

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