La svolta moderata di Renzi

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Una mia intervista a Italia Oggi, in edicola.

Claudio Velardi non le manda a dire. Questo napoletano, classe 1954, che dopo un lungo impegno politico nel Pci-Pds-Ds, oggi fa l’analista e lo spin doctor, ha seguito con attenzione domenica l’assemblea nazionale del Pd che ha rieletto Matteo Renzi alla segreteria, dopo congresso e primarie, e, a fine mattina, dopo il discorso dell’ex-premier, se n’è uscito con un tweet sibillino: “Le tre parole di Renzi (casa, lavoro, mamme, ndr) sintesi di un Pd moderato e riformista. Muore finalmente l’universo simbolico della sinistra”.

Domanda. Velardi, quindi, plaude alla svolta moderata di Renzi.

Risposta. Certo, Pistelli, ora le spiego anche perché, ma faccio un passo indietro.
D. Faccia pure.

R. Quella delineata da Renzi è una strategia di grande interesse. Perché il neo-segretario ha realisticamente preso atto del referendum e messo insieme una strategia che non ha l’aggressività e anche quel certo tasso di giacobinismo della precedente. La definirei più riformista e più inclusiva. E chi, come Ernesto Galli della Loggia, chiedeva quale identità avesse il Pd di Renzi, ha avuto domenica una risposta chiara.

D. Perché?
R. Perché Renzi, secondo me, ha preso atto di una situazione di cui anche molti miei amici non vogliono prendere atto.
D. A chi allude, Velardi?
R. Penso agli iper-riformisti come me, liberali, liberisti, innovatori, che volevano scassare il mondo, a ragione intendiamoci, e che vedevano in Renzi l’uomo adatto alla bisogna. Un pezzo di élite, che vuole più mercato, più innovazione, ma che è minoritaria e che peraltro, ammettiamolo, vive bene di suo…
D. Questi storcono il naso, e perche?
R. Perché Renzi ha capito che l’Italia sconta una arretratezza strutturale, contro cui l’impianto delle riforme è andato a sbattere. Ed è andato a sbattere perché il Paese non lo reggeva.
D. Troppo, lei dice?
R. Nei termini della riforma globale con cui Renzi l’aveva proposta col referendum, la sua proposta ha alimentato tutti gli impulsi conservatori che hanno finito per cooperare fra loro nello scontro, portando al risultato che sappiamo. Questo il vero motivo di quella sconfitta, altro che l’impulsività di Renzi, l’antipatia di Renzi, il personalismo di Renzi.
D. Bischerate, si dice dalle mie parti.
R. Bischerate, sottoscrivo. Il fatto vero è che, da 25 anni, l’Italia è ferma e oggi non è in grado di reggere riforme radicali. Domenica Renzi l’ha detto e l’ha fatto capire: dobbiamo far comprendere l’importanza del cambiamento agli altri, a quelli che si sentono aggrediti dalla crisi. Le riforme, insomma, devono avere tempi più lunghi e una modalità meno radicale. I riformisti oltranzisti, di cui faccio parte anch’io, si facciano passare la loro puzza sotto il naso.
D. Senta Velardi, c’entra, in tutto ciò, il latente ritorno al propozionalismo?
R. Sì, perché questa maggioranza resistente ha una visione di quel genere. Non bada alla governabilità, non delega a governare, vede la rappresentanza avanti a tutto. Hai voglia a propormi un futuro radioso, caro Renzi, io non ti do il permesso e voglio essere rappresentato. No, gli italiani non ce la fanno a reggere troppi cambiamenti, tutti e subito.
D. E Renzi, ora, l’ha capito?
R. Tutta la relazione di ieri lo dice. Non è un caso che non abbia mai pronunciato, se non sbaglio, la parola sinistra. E questo è clamoroso.
D. Abbastanza.
R. Se lei prende il precedente, di una assemblea o di una direzione dem, Renzi parlava di sinistra a ogni pié sospinto. Ma c’erano da fare le primarie, il congresso, c’era da parlare a un mondo e convincerlo, c’era da tirarlo dalla sua.
D. Appunto, svolta moderata, lei dice.
R. Guardi, la sinistra, come dicevo nel tweet, allude a un universo simbolico che da un parte predica il cambiamento, ma dall’altra resiste a ogni atto concreto di cambiamento.
D. Sinistra stop and go.
R. L’elemento della paralisi è dato proprio da questa caratteristica parolaia della sinistra che sembra voler cambiare il mondo…

D. E invece?
R. E invece non dà una mano a farlo! Anzi, usa il suo armamentario ideologico e simbolico vecchio, astratto e inadeguato per impedirlo. Prenda il discorso di Andrea Orlando.
D. Ossia?
R. Un discorso paz-zes-co, Pistelli. Ora, Orlando  vuole parlare ai giovani, e ‘tiene’ meno di 50 anni…
D. Molto meno.
R. E le pare possibile che un giovane, oggi, nel 2017, possa sentir parlare di “elettrificazione e soviet”? O di keynesismo… insomma è possibile usare ancora un armamentario che nulla ha a che fare con il mondo normale e contemporaneo?
D. Renzi, invece?
R. Renzi ha fatto il contrario, usando alcune parole antiche ma di enorme solidità, perfette per l’Italia moderata a cui vuol parlare: lavoro, casa e mamme. Parole antiche e giuste per un Paese impaurito, che vuole essere rassicurato e accompagnato verso una nuova stagione di cambiamento. E se non si intercetta questa Italia, Renzi resta al palo.
D. Qualche sopracciglio s’è già inarcato, infatti.
R. Come no? Subito, fra i miei amici di sinistra. Le mie amiche poi: “Mamme? Ma che schifo”. Attenzione a fare gli schizzinosi. I riformisti, così, rischiano di dare una mano a chi non vuole cambiare niente. “Innovazione”, “modernizzazioni”, “diritti”: sono belle parole che piacciono a tutti. Ma nessuna ha la solidità di quelle pronunciate da Renzi. Parole che parlano a quelli che hanno riempito i seggi delle primarie, peraltro. Ecco, prendiamo le primarie…
D. Prendiamole.
R. Nella fila davanti a me, nella sezione di Napoli in cui ho votato, più giovane di me, che non sono un ragazzino, diciamo, c’era solo mio figlio. Il resto, Piste’, erano tutti più anziani.
D. E questo vuole dire che il Pd è già su quella stessa sensibilità, cui si faceva riferimento prima?
R. Guardi, con la sinistra tradizionale, quella gente che vedevo, aveva poco a che fare. Ho trovato solo un vecchio compagno che mi diceva strane cose sull’ingraismo…
D. E gli altri?
R. Era una fila di signore per bene, di pensionati, di insegnanti, di persone tranquille. Prenda con le pinze quello che le dico, eh, ma era una bella fila di democristiani.
D. Addirittura.
R. Massì era un bel gruppo di persone antropologicamente, somaticamente, culturalmente democristane, tranquille e moderate, per le quali Renzi rappresenta il sistema, la democrazia che abbiamo conosciuto; gente che vuole una modernizzazione ma pacata e serena, non un cambio traumatico. Siamo un Paese vecchio, che vuole cambiamenti graduali, prendiamone atto.
D. E i giovani?
R. Per carità, Renzi parli anche ai giovani, ai ceti nuovi, alle start-up, figuriamoci se io sono contrario. Sapendo che i loro voti arrivano non se dici che sei moderno ma se fai le cose. Il punto è che il 4 dicembre si è perso sull’innovazione di sistema: la maggioranza delle persone può sopportare un cambiamento misurato, progressivo, tranquillo, inclusivo. Renzi, domenica, ha avuto il coraggio di dirlo.
D. E come cambia la sua azione politica?
R. Renzi farà anche le cose solite e simboliche, andrà, e farà bene, a ramazzare Roma, come ha annunciato. Vanno bene le cose che lo riportino fra la gente, ma questo percorso ha bisogno di tempo, per questo mi pare ottimo che si sia tolto dalla testa l’idea di andare a votare subito.
D. Ci vuole tutto il tempo necessario…
R. … per battere i populismi, andando anche fra la gente, ramazzando le strade, certo, ma anche cominciando col dire che, per Roma, tanto per restare all’esempio, c’è già un gruppo dirigente in grado di sostituire Virginia Raggi. E su questo c’è ancora molto da fare

Questo articolo ha 4 commenti

  1. marcello

    Mi piace. Infatti nel 2016 si erano riuniti in un pollaio 945 cap(p)oni e avevano deciso che ben 315 di loro si sarebbero suicidati per offrire agli Italiani affamati almeno un buon piatto per Natale. Gli Italiani hanno rifiutato il piatto: non erano pronti all’abbuffata. Meglio pane e cipolla. Anch’io credo che Renzi l’abbia capita!

  2. Gino Melchiorre

    Interessante. Ma non ancora capisco la cultura politica di Renzi, i suoi riferimenti ideali – se ne ha qualcuno. L’ impressione è che viva alla giornata, e che si crei degli avversari ad hoc: oggi i Grillini, ieri i “rottamandi”. Può creare un consenso immediato, ma di breve durata.
    Gino

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