La morte e i media

Solleva grandi temi la decisione di Gino Cecchettin di affidarsi ad una agenzia di comunicazione per gestire i rapporti con la stampa. E anche scriverne mette a disagio. Di fronte alla tragedia di un padre che perde una figlia, tendo a dirmi che ogni forma di comunicazione andrebbe azzerata, ma sento un attimo dopo la stupidità e l’inadeguatezza del mio stesso commento, che proviene da un pulpito esterno ed estraneo, del tutto ignaro di quello che passa nell’animo di quell’uomo. Né so come reagirei io, se fossi colpito in maniera così feroce. Nelle tante circostanze in cui vedo persone afflitte da lutti atroci esternare rabbia e dolore in Tv, a me capita di pensare che – mi trovassi nella loro condizione – andrei a nascondermi, me ne resterei muto e chiuso nel mio dolore privatissimo. Ma chi sono io per giudicare chi invece sente di agire diversamente, di mettere in piazza la sua pena, di farne oggetto di appelli, di mobilitazioni, di richieste di giustizia, di Fondazioni per perpetuare il ricordo. Forse l’unica considerazione appropriata – cui comunque non attribuisco alcun giudizio di valore – è prendere atto che ormai la mediatizzazione della morte, in particolare quella violenta che occupa spesso le cronache, è un dato della realtà. Una sorta di ribellione estrema dell’Homo Deus, che non si rassegna all’idea di non averla (ancora?) debellata.