Ma il problema NON è Elly Schlein

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In uno dei suoi sfavillanti pezzi, stamattina Fabrizio Roncone sul Corriere descrive i tanti chiodi che gli avversari interni hanno infisso sulla croce che Elly Schlein sta trascinando sul suo personale Calvario, le cui stazioni sono forse già più di 14. E aumenteranno, temo.

Io qui vorrei spendere parole non pelose di solidarietà verso la segretaria del PD. Lei non ha responsabilità di quanto sta avvenendo, salvo la colpa (certo, non da poco) di avere creduto – con ingenuità, supponenza, arroganza? – alla possibilità di cambiare la natura di quel partito.

Per farla breve, il PD si dibatte dalla sua nascita (2007) in equivoco di fondo che sintetizzerei così: è un partito progressista nei principi, che persegue politiche conservatrici ed è retto da un apparato di potere eterno, del tutto disinteressato a qualsivoglia contenuto.

La pura declamazione dei cosiddetti principi (diritti, ambiente, lavoro è – al momento, se non ricordo male – la triade basic) serve a fornire ai militanti argomenti politicamente corretti da contrapporre alla ruvidezza di “questa destra” (così la chiamano…). La loro messa in pratica è subordinata al fuoco di fila incrociato delle correnti interne e degli interessi incrostati da rappresentare. E quelli che governano il partito (sono quelli di sempre, certo non Provenzano e Braga) fanno la spola tra principi astratti e concretissimi interessi, senza mai compiere una scelta che sia una. Tutto questo porterà presto, come prevede Roncone, alla ennesima resa dei conti. E il decimo leader del PD andrà via, del tutto indipendentemente da qualche 1-2% in più o in meno alle europee.

Che cosa sta facendo Elly Schlein per sottrarsi a questo destino? Porta avanti una linea semplice, direi fin troppo elementare. Dice o lascia intendere, in sostanza: “Chi non vuole la Meloni, chi vuole evitarne lo strapotere, non ha che da scegliere il PD, è senza alternative“. Ad essere generosi, una scelta tattica più che una strategia, ingenua e cinica al tempo stesso, e comunque destinata a risultati miseri. Perché chi voterà il PD alle europee lo farà di risulta, turandosi il naso, non per scelta maturata con convinzione e determinazione. Per questa ragione il risultato del PD non sarà né lo sprofondo né il trionfo. E, all’indomani del voto, i problemi della leadership PD si paleseranno per forza di cose.

Se poi vogliamo andare – come a mio avviso è giusto – oltre il tema Schlein, va detto ancora una volta che lei è lì solo perché riempie un vuoto pneumatico, e cioè l’assenza di contenuti innovatori e di leadership del riformismo. È vero che storicamente le idee riformiste in Italia sono sempre state minoritarie e inconsistenti: può darsi che questo sia il destino di un paese che da 30 anni non cresce. Un sistema anchilosato, invecchiato produce istanze crescenti di conservazione, non spinte al cambiamento. Ma questo dato di certo non assolve quelli che a ogni pie’ sospinto continuano a definirsi “riformisti”. Tra la loro deprimente cedevolezza e il giacobinismo sempliciotto respinto dal popolo qualche anno fa, una terza via (e persone che la incarnino) bisognerà pur trovarla.