I partiti e l’agenda di Draghi

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“Mentre gli altri (avversari politici, di partito o di corrente) pensano a (poltrone/scontri di potere/vergognose bagattelle interne), noi ci occupiamo dei problemi del paese (pandemia/occupazione/sviluppo… e qui aggiungete temi a piacere)”. Con diverse modulazioni, il concetto è ripetuto ossessivamente e quotidianamente da tutti i protagonisti della politica. Zingaretti per autonominarsi nuova vittima sacrificale dell’orrido PD e provocare il tipico, periodico sdegno dei sinceri democratici. Salvini per non farsi ingabbiare nelle secche governative, tornare alla sua amata propaganda e contrastare l’avanzata di Giorgia Meloni, in fondo la sola autorizzata a usare megafoni in questa fase. I Cinquestelle residui perché “occuparsi di … mentre gli altri …” è pur sempre il loro imprescindibile marchio di fabbrica.

Nel frattempo Mario Draghi diffonde nel pomeriggio una “nota per le segreterie di redazione” che odora di lavanda, con i suoi prossimi impegni pubblici. Quattro, da ora al 18 marzo: una “celebrazione”, una “visita”, una “partecipazione” e – unico format che lo fa diverso da Mariano Rumor – un videomessaggio. Chissà cosa farà negli altri giorni, si staranno chiedendo i leader dei partiti, così presi a “occuparsi dei problemi del paese”.

Niente di particolare. Semplicemente, in una ventina di giorni, Draghi ha cambiato il Capo di stato maggiore dell’Esercito, il capo del dipartimento della Protezione Civile, il Capo della Polizia, il Commissario straordinario per il contrasto al Covid, cioè tutta la linea di comando della lotta organizzativa e logistica alla pandemia. Ha messo persone di sua assoluta fiducia nei ruoli chiave del governo, creando due nuovi ministeri che dovrebbero indicare la direzione di marcia all’Italia per i prossimi anni. Ha mutato radicalmente la strategia anti-Covid, spostandola dalla discussione rissosa e oziosa sui colori delle regioni all’accelerazione massima del piano dei vaccini (e del loro reperimento).

Continuerà su questa strada, Draghi lo scansafatiche? Chi lo sa. Magari si impantanerà nelle paludi della politica (quello che in moltissimi si aspettano). Magari si troverà a fare ricorso alla tanto invocata comunicazione (speriamo proprio di no) se il governo non otterrà a breve risultati concreti. Oppure, di fronte all’immane difficoltà di governare l’Italia, a un certo punto si ritirerà sdegnato dicendo “ho tentato, mo’ piangetevela voi”. Quello che è certo è che i teneri, patetici, comici leader di partito non possono pensare di ritrovare uno spazio e un ruolo se non cambiano sé stessi, il loro modo di parlare e di interloquire con il paese reale.

Questo articolo ha 3 commenti

  1. Corrado

    Buonasera, sarebbe molto interessante leggere qualche suo commento anche sulla questione “dimissioni di Zingaretti”.

  2. Giorgio Tino

    Un articolo brillante – anche per mirabile sintesi – come da tempo ormai Velardi ha abituato noi buongustai! Una piccola notazione comunque sento di doverla fare da indipendente quale sono.
    Ma come può il segretario del maggior partito reale di governo gettare tanto fango, attraverso il peggiore dei social network tra l’altro, indistintamente sulle donne e gli uomini del suo partito, colpevoli ai suoi occhi ormai opachi di non essere d’accordo sulla maggior parte della disastrosa strategia degli ultimi mesi! Altro che per ragioni di poltrone che in effetti ce ne erano troppo poche per il corpaccione democratico. Fosse capitato “in altri tempi” il buon Zingaretti non sarebbe arrivato all’assemblea nemmeno come segretario uscente e sarebbe stato giusto così perché l’atto è stato davvero di una gravità ingiustificabile!

  3. stefano m.

    Analisi ineccepibile;)

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