Il mondiale dei sovranisti

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Guardo partite perché mi piace il calcio. Chiusa la vetrina della Champions, dove ogni anno scintillano i marchi del settore, in ferie gli outlet nazionali dove può capitarti anche di vedere un PSG-Metz senza grande disturbo per gli occhi, da dieci giorni mi sciroppo questi mondiali di Russia, e non rimpiango il mancato godimento delle performances di Caldara e Zaza (nessuno si offenda). Mi piace lo spettacolo del calcio, delle bandiere non mi frega niente: questa è la premessa.

Ora, anche il meno smaliziato dei commentatori Mediaset, chiamati a rincorrere ascolti con telecronache giubilanti, sa in cuor suo che le esibizioni di Russia 2018 sono generalmente penose. Errori tecnici marchiani, percentuali di passaggi sbagliati che neppure la mia Roma nei peggiori momenti di Garcia, schemi totalmente approssimativi, compagni di squadra che non si conoscono e si pestano i piedi, star demotivate che aspettano di uscire senza farsi male per andare in vacanza, selezionatori mediocri, privi di ogni autorevolezza, spesso finanche esteticamente impresentabili. Per non dire del trash degli spalti, dove le telecamere indugiano su faraoni, vichinghe, geishe e tangheri (e meno male che l’Italia non c’è, ché non ci avrebbero risparmiato pizze, mandolini e il classico del mafioso con cappellaccio e baffoni).

Il grande spettacolo del calcio fatto con mediocri squadre nazionali è la più evidente metafora degli attuali, tonitruanti e farlocchi sovranismi: fenomeni tenuti su da confini finti e stanche simbologie, buoni per far fronte a paure passeggere, per riprendere fiato in attesa che il campionato globale ci riaffascini con le sue sfide avvincenti. I sovranismi possono vivere il breve spazio di una stagione, speriamo senza fare grandi danni. Poi torneremo a goderci la vita. E noi, piccole rotelle del mondo unico, torneremo ad esaltarci per le eleganti geometrie delle cosmopolite squadre di club, vere catene globali del valore, per gli automatismi sofisticati di schemi di gioco studiati con complessi algoritmi, per le genialate di campioni selezionati dal merito e dal mercato. I tristi mondiali russi finiranno.