Sting – “I Hung My Head”
Nel gioco fesso del “ma in fondo, quale è il tuo vero sogno?”, a un certo punto il nostro dichiarava: “Suonare le tastiere in un concerto di Sting”. Nei rifluenti anni 80, finita la gloriosa stagione del prog rock, i Police erano stati per qualche anno l’ultima trincea della buona musica pop. E, quando Gordon Sumner cominciò a fare da solo, i primi risultati furono indiscutibili. Faceva musica di gran classe: belle melodie e arrangiamenti finissimi. Poi, da un certo momento, cominciò il lento scivolamento: più nulla di sporco, vero e cattivo, come il rock imporrebbe; una evidente tendenza a confezionare solo pezzi glamour, leccati, platinati. HP, per tutti, cita “Whenever I Say Your Name“, uno dei migliori pezzi di world music degli ultimi anni, preso di sana pianta, nella sua struttura armonica, dal Piccolo preludio in Do maggiore. Di chi? Di Giovanni Sebastiano, ovviamente.
Ma l’uomo è intelligente, oltre che dotato. Così, raggiunta abbondantemente la soglia dell’imborghesimento ed ampiamente esaurita la vena creativa, comincia a diversificare, direbbe Marchionne. Nel 2006, trasferito addirittura alla Deutsche Grammophon, mette fuori un album (comunque molto bello) di musiche di Dowland, che lui si limita a cantare con voce calda e intensa. E oggi approda, con “Simphonicities“, alla raccolta-di-successi-con-orchestrona: quello che tipicamente fanno i grandi quando non hanno più nulla da dire, con esiti che non rendono giustizia a fulgide carriere.
Prendete la bellissima “I Hung My Head“, del 1996. Un pezzo perfetto, con batteria in 9/8 (provate ad andare a tempo!) e un testo bello e dolente. In “Simphonicities” viene inutilmente massacrato dell’orchestra (in particolare dall’intro, da telefilm americano degli anni ’50). E ascoltate poi Johnny Cash, che la trasforma in una ballata ruvida e struggente. Il confronto dice, una volta per tutte, grandezza e limiti di Sting. Un genio senza cuore.
Ps. E comunque, a proposito di momenti magici. L’anno scorso, di questi tempi, HP era a Ischia, in occasione del Global&Music Fest organizzato da Pascal Vicedomini al Regina Isabella, e Sting gli era seduto davanti, con Zucchero e Bocelli. Prese il suo bravo premio, disse: “Scusate, non so parlare, preferisco cantare”, e attaccò, senza musica, “I Was Brought To My Senses“. Da brividi, come si dice. Poi si unirono Zucchero e quell’incredibile pianista che è Eric Lewis, e il più fantastico dei concerti pop proseguì con “Murders By Numbers“, “Message In A Bottle“, “Mad About You“. E si concluse, naturalmente, con tutti che ballavan(m)o “Every Breath You Take“. Anche se gli è venuto a mancare quel muscolo che pompa la vita, sia gloria a Gordon Sumner, in arte Sting.