Johann Sebastian Bach – “L’arte della fuga”
Con l’arrivo degli anni ’80, il nostro cominciò a chiedere alla vita un po’ di esattezza. Nei caotici e violenti anni ’70, sola misura d’ordine della sua esistenza erano state le granitiche certezze del Partito, approdo per confusi ideali, baluardo contro le pulsioni estremistiche, culla di amori solidi. Il punto è che sul più bello, nel momento di massimo fulgore, il granito aveva cominciato a sfaldarsi, lentamente e inesorabilmente, galeotti alcuni maledetti ossimori. Un compromesso, per definizione necessitato e contingente, diventò “storico” per darsi importanza. Il Partito si autodefinì “di lotta e di governo”, non avendo il coraggio di fare né l’una né l’altro. Il tormentato leader del tempo si disse addirittura “rivoluzionario e conservatore”. Fu Moretti, in “Palombella rossa“, a sintetizzare il caos che ne derivò.
Il nostro non sapeva come sentirsi e definirsi, ma è certo che l’incantesimo si era spezzato. Dentro la rituale sacralità delle riunioni, imparò a decodificare i movimenti delle gerarchie, gli umanissimi desideri di carriera, gli inciampi, gli sgambetti, le manovre (intendiamoci, facendo tesoro anche di queste esperienze…). I dibattiti fumosi svelavano la loro realtà di sangue e merda, si sarebbe detto dopo qualche anno. Le giornate trascorrevano nella fatica inconcludente di parole lanciate contro muri interni, ben prima che cadessero quelli dell’89.
Così la sera tornava a casa frustrato e scontento, e trovava in Giovanni Sebastiano la quadratura del cerchio. In particolare nell'”Arte della fuga”, capolavoro della maturità. Opera astratta, severa, incurante delle miserie del mondo. Le note centellinate del primo contrappunto che crescono diventando un tessuto spesso, avvolgente, fino ad esplodere – come in questo pazzesco “Contrapunctus IX“ – in una sequenza ossessiva di soggetti e controsoggetti che sembrano non avere fine, e poi per incanto trovano il bandolo della matassa. Un intero mondo immaginato e disegnato con meccanismi perfettamente funzionanti, che si integrano tra loro senza smagliature, formando un circuito perfetto. Funziona tutto, nell'”Arte della fuga”. Come in tanti immaginavano che potesse funzionare il mondo. Lo avrebbe capito più tardi, il nostro, che la realtà è bella perché non si fa governare. Senza nulla togliere al suo amato Kapellmeister.