Ancora sull’autonomia differenziata

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Un mio recente post sul Sud e l’autonomia differenziata (eccolo) ha suscitato un certo dibattito, e io torno sul tema non per ardore polemico ma, al contrario, per tenere aperto e sviluppare, se possibile, un dialogo con i miei interlocutori.

La premessa – che ribadisco – è che non intervengo sulle singole norme in discussione, sulle quali non solo è legittimo ma è doveroso tenere aperto un confronto tra regioni, governo e cittadini, ovviamente con l’obiettivo di strappare i risultati più equi per chi parte da posizioni svantaggiate, cioè per il Mezzogiorno.

Ma, proprio per questo, aggiungo alla premessa che si va più forti ad una battaglia se si accetta una sfida, non se ci si rintana o ci si arrocca. In caso contrario, si può anche resistere a qualche prima offensiva dei fautori della riforma, ma il tema resta e tornerà a farsi strada, prima o poi. Per un motivo semplicissimo, che i meridionali dovrebbero avere ben presente: una larga parte del paese ritiene che il Sud non è in grado di crescere da solo e preferisce vivere in condizioni di dipendenza. È giusta questa convinzione? È sbagliata? Sinceramente non mi interessa, è del tutto ozioso discuterne. Il dato di fatto è che questa opinione è radicata.

E dunque, il punto vero è come si risponde, come si fa fronte ad un pregiudizio (posto che sia tale, e io penso che lo sia, in una certa misura). Si può scegliere naturalmente la via del rifiuto di discutere. Tu mi accusi di essere – poniamo – un perdigiorno, di spendere male i soldi che mi vengono dati, di avere infrastrutture e servizi fatiscenti, di vivere in città invivibili. Io posso risponderti A:) che non è vero (e ci vorrebbero solidi argomenti per farlo, che mi pare scarseggino nella realtà delle cose); oppure B): che non è colpa mia (che cioè l’accusa è fondata, ma le colpe sono da attribuire ad altri fattori: la geografia, la storia, il clima, la ria sorte o quello che volete).

In genere mi pare si scelga, nel Mezzogiorno, la risposta B, anche se questo non fa che trascinarci sullo scivolosissimo terreno del vittimismo, il peggiore – a mio avviso – tra i nemici del Sud. Ma, anche seguendo il filo di questo ragionamento, quale finisce per essere la sua conclusione? Che, per tirarsi fuori dai guai, il Mezzogiorno ha bisogno di più risorse. Cioè quelle che finora ha avuto sono state impiegate male, ma ce ne vogliono altre per invertire la rotta. Ora, dite la verità: vi sembra una linea credibile sul piano logico, vi sembra spendibile su un piano comunicativo, vi sembra che un risposta del genere possa aumentare la credibilità e la forza contrattuale del Sud?

Io penso proprio di no, e penso per questo che le classi dirigenti del Mezzogiorno, i suoi intellettuali, i suoi giornali debbano cambiare contenuti, linguaggio e toni parlando di autonomia differenziata. Accettare la sfida dell’autonomia espone il Sud a grandi rischi, perché se – mobilitando finalmente le proprie forze – non ce la dovesse fare, il destino sarebbe una marginalizzazione storica, definitiva, l’accantonamento di ogni ipotesi di modernizzazione. Ma non accettarla espone a qualcosa di peggio: significa confermare i pregiudizi, essere bollati definitivamente come la palla al piede del paese. Vincere la sfida e trasformare il Mezzogiorno sarebbe invece una bellissima scommessa, di cui andare fieri con i nostri figli e nipoti.