Psicodrammi (e farse) del dopovoto

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Cronaca del weekend napoletano che sta per concludersi.

Venerdì vengo invitato nel circolo di Chiaia del Pd a discutere del voto. Per educazione e antica passione politica, non me la sento di rifiutare, anche se ho appena scritto che non vedo futuro per il Pd. Chiedo solo a Valerio, il bravo segretario, di organizzare la discussione in forme civili (10 minuti di introduzione, 5 minuti a testa gli interventi estratti a sorte). Mi presento prima delle 18.15 in un antro adibito a circolo, dove nel giro di pochi minuti – insolita puntualità, poco napoletana – si assiepano una quarantina di persone. Belle signore abbastanza agées, vecchi militanti, medici, avvocati, architetti, una piccola pattuglia di giovani: mi figuro che il reddito medio dei presenti non sia al di sotto dei 80/100mila euro, in diversi casi so che lo supera di molto (e durante la riunione chiederò anche perché tra i tanti impegni che si prendono non c’è quello di impegnare due soldi per affittare un appartamento decoroso). Per completare la premessa: anche a Chiaia il Pd non ha eletto, ma ha preso il 23-24% dei voti, la tendenza (al ribasso) è quella dei quartieri-bene di Roma, Milano e Torino.

Immaginando la discussione che verrà, cerco inizialmente di spostare l’attenzione presentando alcune slides sulle tendenze storiche del sentiment degli italiani, che nel giro di un quindicennio hanno radicalmente mutato opinione su Europa, sindacati, immigrazione, etc…, e si percepiscono oggi più incazzati, depressi e pessimisti. Come a dire, con il senno di poi, che il voto era già scritto. Ricordo, giusto per aggravare il quadro, che la sinistra è in rotta dappertutto, e che Renzi ha solo cercato, una volta fallito il referendum, di salvare il Pd da questo abisso. Purtroppo senza successo. E concludo provocando garbatamente i presenti: va bene ora fare propaganda urlando ai quattro venti che si farà opposizione, ma sappiate che nel giro di qualche giorno il Pd sarà obbligato a fare scelte difficili e dolorose. L’attraversamento del deserto è appena cominciato.

Il dibattito che segue è – purtroppo, lo dico con sincero rammarico – una summa delle ragioni per le quali penso che il Pd non abbia futuro. Tutti interventi ragionevoli, appassionati, ma drammaticamente datati: d’altronde l’assemblea è una riedizione del CLN, fatta di ex-socialisti, ex-comunisti, ex-democristiani, ex-liberali, con Raffaele che richiama, per paradosso, l’anima di La Malfa padre. Le cause della sconfitta non vengono prese in esame, perché in realtà tutti si sentono, inequivocabilmente, dalla parte della ragione. Il massimo che si propongono di fare è andarle a spiegare, le cose giuste, facendo volontariato, tornando tra la gente, e – naturalmente – cambiando i dirigenti che fanno schifo. Molta, moltissima confusione. Smarrimento totale, tranne che su un punto: dobbiamo fare opposizione, se la piangano gli altri. Quando, in conclusione, torno sul tema dicendo che tra qualche giorno non si potrà più stare sull’Aventino, alcuni mi danno sulla voce, con accenti disperati. Chiamarsi fuori è l’unica arma a disposizione, al momento.

Si chiamano fuori tutti, anche gli amici che ho visto a cena ieri sera. Quando Valeria li provoca (“Beh, ma di quello che è successo domenica scorsa non si parla?”), Alfredo dice che da martedì non legge più i giornali, gli altri tacciono per una manciata di secondi e poi affondano la testa in un ottimo sformato di verdure. Io tiro un sospiro di sollievo perché, se la discussione si aprisse, sarei più o meno obbligato a dire la mia, e non ne ho proprio voglia, mi sento vagamente depresso. Al punto che, tornato a casa, faccio fuori morettianamente mezzo vasetto (non scherzo) di Nutella: crimine che stamattina mi sono illuso di espiare, tornando a correre dopo un po’ di tempo.

L’unica consolazione del week end politico è che oggi qualunque napoletano più o meno di sinistra può uscire dal suo intimo psicodramma leggendo i giornali, da cui si apprende che ieri Bassolino (Bassolino) ha convocato dirigenti Pd (compreso l’attuale segretario), renziani e antirenziani, manager pubblici e comunisti d’antan, per discutere del da farsi dopo il voto: un evento che – come capite bene –  trasforma una cosa piuttosto seria in una farsa, nell’ennesima recita a soggetto.

Per questo, prima di tornare a Roma, mi accingo a fare finalmente una cosa importante: vado a salutare i nipotini di ritorno dalla neve. Una sorta di bagno purificatore. Buona domenica.

Questo articolo ha 2 commenti

  1. laurettamiri@libero.it

    Ok

  2. robertobalzano

    Caro Velardi, bisogna dichiarare estinto il brand. E poi approfittare, da subito, che il business elettorale dell’egualitarismo e del sogno populista della ennesima palingenesi della Repubblica sia finito saldamente nelle mani di altri. Una questione meridionale grande quanto quattro(centomila) vele da abbattere, farà sempre fatica a farsi capire per quel che realmente è (a Chiaia). Però da oggi si può lasciare finalmente l’eredità di tutti i contorcimenti e degli imbellettamenti retorici della sinistra italiana ai nuovi eredi del compromesso storico, e mettere in opera un progetto riformista laico e liberale. Fuori del PD, o dopo di esso, c’è la strada e va percorsa. Obbligando, senza troppe concessioni, la borghesia (meridionale soprattutto) alle sue responsabilità.

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